Come nasce PostaTiAmo?

PostaTiAmo nasce durante una cena.

Il nome è stato un gesto spontaneo, senza pensare, è bastato ascoltare il mio cuore. Desidero raccontare storie, aneddoti ed episodi del nostro paese e dedicare questo blog a tutte le persone che mi hanno accompagnato in questi 40 anni di vita nella nostra amata Posta...a loro insaputa sono dei personaggi in un'avventura meravigliosa.

GianMarco Danna

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domenica 12 agosto 2018

BIBLIOTECA


Una stanza silenziosa, in cui la calma la fa da padrona, un luogo in cui staccare la spina dalla monotona e noiosa vita quotidiana e catapultarsi in un milione di altri mondi. Seduto su di una poltrona con una coperta e un tè caldo, magari con sottofondo una dolce canzone che accompagna il tempo che scorre e immaginando di trovarsi in un altro luogo…sulla riva di un lago ad osservare i pesci nuotare attraverso l’acqua cristallina, oppure sulla cima di una montagna ad osservare tutto da un’altra prospettiva. Un punto di ritrovo in cui condividere passioni e fare nuove amicizie, in cui sfogliare pagine di scritti provenienti dalle più svariate menti del mondo. Tutto questo in un piccolo spazio in un altrettanto piccolo paese, questa è la magia della Biblioteca.
                                                       
                            FRANCESCO CIANCAGLIONI



giovedì 21 giugno 2018

DOV’È FINITA L’OPERA?



 Cari lettori di ogni dove, so già quante volte vi sarete detti anche voi, guardando certe opere d’arte: “ad averci pensato io, ora sarei ricco!”.

Prendiamo la Bicycle Wheel, di Marcel Duchamp


Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta, 1913



La domanda è: “Si può considerare un’opera d’arte?” Senz’altro sì, anche se molti staranno arricciando il naso. Il punto è guardare all’arte in un modo nuovo. Portare l’arte fuori dal suo territorio, da quel territorio in cui l’arte vale solo in quanto arte.
Duchamp proponeva un modo di intendere l’arte “anti-callistico”, vale a dire contro quell’adorazione feticistica di intendere l’opera d’arte. L’opera d’arte reclama un modo nuovo di usare lo sguardo. M. Duchamp è un anti-emozionalista. Per capirci: “riuscite ad emozionarvi davanti all’orinatoio rovesciato, che Duchamp intitola Fontana? Il gesto duchampiano spiazza l’identità dell’opera d’arte nell’epoca del dominio della tecnica.






                                                                      Marcel Duchamp, Fontaine. 1917


Certo non è l’unico, pensiamo a come Andy Warhol riesce ad innalzare ad opera d’arte delle pagliette saponate.
Il filosofo A. Danto davanti alle Brillo Box di A. Warhol, alla Stable Gallery di New York, sostiene che nell’epoca in cui è finito il dovere dell’arte di rappresentare la realtà, le opere d’arte non hanno più la loro funzione mimetica.











Il filosofo W. Benjamin, nel testo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, parla non semplicemente di un’estensione del livello di fruibilità degli oggetti artistici nell’epoca del cinema e della fotografia, nell’epoca del ready made, non è semplicemente un’ingenua democratizzazione dell’arte, prima privilegio di pochi. È un sovvertimento del ruolo sociale e del rapporto tra arte e realtà. C’è una dilatazione della sfera tattile rispetto a quella ottica. È il momento in cui l’originale retrocede a favore dell’esemplare in serie, ovvero della “copia-opera”.

Andy Warhol, Brillo Box (Soap Pads), 1964


                                         



Episodio Le vacanze intelligenti con Alberto Sordi e Anna Longhi, del film collettivo Dove vai vacanza




Quindi non resta che citare Alberto Sordi, nel film Le vacanze intelligenti, nella famosa scena in cui la moglie Augusta (l’attrice Anna Longhi), sedutasi su di una sedia, viene scambiata per un’opera vivente e valutata addirittura per la cifra di 18 milioni di lire. E la chiosa finale in cui Remo (Alberto Sordi) dice, riferendosi ai figli, espressione    della modernità: “…però lo vedi che alla fine l’hanno capito pure loro, però ci devono arriva’ da soli. Lo vedi come so’ i giovani, rompono, sfasciano, buttano quello che è vecchio, quello che è antico, poi piano piano s’accorgono da loro che era meglio quello che ce stava prima”.


                                                                                                                       ELEONORA NATALUCCI









giovedì 7 giugno 2018

IL DOMINIO SULLA NOSTRA VITA QUOTIDIANA

Vorrei partire con una domanda provocatoria. Quanti di noi sentono di avere strette nelle mani le redini della propria esistenza? Starete senzʼaltro pensando:” beh tutto sommato, costantemente, appronto il necessario per costruirmi un futuro e vivo al passo con i tempi” Bene, tutto giusto! Ma la seconda domanda allora è: “qual è il fine?” Voglio partire da un mito che viene dellʼantico mondo omerico, dellʼOdissea. Premettendo tra parentesi il fatto che i miti troppo spesso finiscono declassati a semplici narrazioni per ragazzi, o nella migliore delle ipotesi, a letture per sognatori, il mito è: Ulisse e le sirene: il canto delle sirene è così ammaliante, così coinvolgente, rapisce e trascina in unʼandata senza ritorno. Questo canto proviene, secondo lʼepisodio narrato da Omero da un gruppo di scogli a Sud della penisola di Sorrento, al largo delle Isole Sirenuse. È il canto che, secondo Cicerone, nellʼepopea omerica è una promessa di conoscenza: Odisseo non fu attratto dalla soavità del loro suono, ma dal desiderio insaziabile di apprendere (De finibus bonorum et malorum V, 18). Lʼuomo, che è lʼessere desiderante per eccellenza, vive di unʼesistenza volta alla costante ricerca di piacere, talvolta estremo, proprio come quello portato dal canto delle sirene. Ma Ulisse è un uomo e come tale è essenzialmente anche ragione, è un “animale razionale”. Progetta e sʼingegna; vuole ascoltare il canto delle sirene ad ogni costo, vuole godere di quel massimo piacere senza caderne vittima. Decide di farsi legare allʼalbero della nave e ordina ai suoi marinai che non venga slegato per nessun motivo al mondo. Neanche quando chiederà loro, supplichevole, di essere liberato. Ulisse è astuto, sa che perché tutto vada come deve andare solo lui potrà godere di questo privilegio e gli altri uomini dellʼequipaggio ne saranno tagliati fuori. Verrà versata della cera nelle orecchie di tutti i marinai e questi dovranno solo remare. Così questi, sordi e sottomessi remano. Qual è il significato profondo di questo mito? Senzʼaltro la condizione attuale della nostra società. Gli individui sono divisi in categorie delineate dalla logica del dominio. È il dominio dellʼuomo su se stesso e sugli altri uomini attraverso la ragione che non è più volta a raggiungere il fine comune di un mondo in cui tutti vincono, ma è una ragione che si è fatta strumentale. Lʼuomo attraverso la tecnica ha dominato la natura, ma è finito per essere inghiottito in una logica di dominio. È evidente che i marinai perdono la libertà e sono schiavi. I loro desideri sono repressi. Proprio come le classi medio-basse del mondo di oggi, vengono ridotti a macchina: devono solo remare. Ma allo stesso modo Ulisse, che possiamo far coincidere con lʼuomo borghese, il ricco capitano dʼindustria, è soggetto 7 repressione. Il punto è che la logica del dominio, che vede la sua massima espressione nel consumismo sfrenato, si proietta anche in forme di sottomissioni subdole e insidiose che inconsapevolmente ci rendono schiavi. Quando viviamo la nostra vita di tutti i giorni siamo perfettamente inseriti in una logica di dominio. Il potere, che non corrisponde necessariamente alla logica economica del “più ricco”, ci orienta nelle scelte e nelle decisioni della nostra esistenza. Allora vediamo esempi di rapporti di potere a scuola, quando andiamo alle Poste a pagare le bollette, quando viviamo una relazione dʼamore o di amicizia. Pensiamoci un attimo: in classe lʼinsegnante può non necessariamente essere più ricco dei suoi studenti, eppure senzʼaltro sarà il detentore del potere. Se ho sete, dopo una camminata al sole, colui che possiede una bottiglietta dʼacqua eserciterà su di noi il suo potere. Se attendiamo con ansia un messaggio da qualcuno che amiamo siamo sottomessi al suo potere. La lezione, che ci viene da queste pagine meravigliose di Horkheìmer e Adorno, ne La Dialettica dell’illuminismo, del 1947, da dove ho tratto la riflessione sul mito di Ulisse e le sirene, vuole affinare la nostra coscienza critica e smascherare la mistificazione che acceca gli occhi di una umanità che non sa dove andare e perché agisce. Voglio chiudere allora con una riflessione di un filosofo che fornisce una sua risposta etica nel testo Il principio responsabilità. Dice Hans Jonas:”L'imperativo dell'etica della responsabilità viene così formulato: "Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana".

ELEONORA NATALUCCI

martedì 29 maggio 2018

Hitchcock e “l’arte del compromesso”


Hitchcock non è americano ma è inglese. Il genere che lo contraddistingue è il thriller, è il genere della suspense, dal quale non uscirà mai, perché tutto quello che realizza rimane all'interno di questo genere. Abbiamo un’alta specializzazione di cui ne diventa maestro assoluto. Hitchcock avrà una legittimazione da parte dei registi della Nouvelle Vague, che mettevano al bando un certo modo di fare cinema. In particolare, F. Truffaut fa una grande intervista a Hitchcock.

L’immagine di Hitchcock è icastica, ha un’espressione beffarda, sorniona. È l’arte del compromesso riuscito col sistema. Porta degli elementi di grande infrazione nel cinema classico, ma allo stesso tempo si inserisce bene nella Hollywood classica.

Hitchcock ci racconta della differenza tra la suspense e la sorpresa. Dice: “La sorpresa è quando, ad esempio, c’è una scena ad un ristorante, ad un certo punto scoppia una bomba. Questa è la sorpresa. Ma io nei miei film non faccio questo. Io vi mostro due personaggi che stanno al ristorante, che mangiano e vi mostro che c’è una bomba sotto il loro tavolo.” Hitchcock genera tensione mettendo a conoscenza lo spettatore.
Sempre Hitchcock ci racconta del suo McGuffin, termine che lui stesso ha coniato. Il McGuffin lo ritroviamo in Pulp fiction: la valigetta nera è un McGuffin, cioè un qualcosa che per i personaggi del film ha un'importanza cruciale, attorno al quale si crea enfasi e si svolge l'azione, ma che non possiede un vero significato per lo spettatore. È un omaggio che Tarantino fa a Hitchcock.














Queste strategie narrative sono adeguate alla Hollywood classica (rigorosa nel imporre i codici), ma ce ne sono altre invece che non lo sono, pensiamo alle sperimentazioni tecniche e visive avanguardiste dei film di Hitchcock. Ad esempio, in Vertigo, è il sogno che rileva elementi dell’inconscio attraverso tecniche avanguardiste. Con questo film siamo già in un momento avanzato della carriera di questo straordinario autore, ma già nel suo primo film, Rebecca la prima moglie del 1940 in cui sembra entrare perfettamente negli schemi classici di Hollywood, possiamo notare numerose infrazioni ai codici. Ad esempio, il film è girato in flashback, il tempo del racconto è un tempo spostato nel passato. In Hitchcock ci sono elementi contrastanti: sia sentimento cattolico, che elementi della psicoanalisi. Nell'incipit di Rebecca la prima moglie c’è tutto un immaginario romantico: il notturno, il cancello chiuso che fa un gioco espressionista, la narrazione. Questo narratore esterno lo troviamo solo all'inizio e alla fine come cornice. Rispettando la  regola del cinema classico inserisce elementi di trasgressione. In Rebecca la prima moglie, la mano di Hitchcock prende lo spettatore e lo porta dentro il racconto attraverso due stratagemmi: la notte magica con questa voce del narratore che diviene poi la voce del personaggio femminile del racconto, e poi questo spostamento di prospettiva verso il mediterraneo con i due personaggi alla scogliera. Interessante questo incipit di racconto che somiglia ad un’altra celeberrima sequenza, di un film straordinario, quella di Quarto potere di O. Welles, in cui definitivamente si segna il passaggio al cinema moderno.

Un altro tra i film più famosi di Hitchcock abbiamo La finestra sul cortile, del ’54. È un film in cui l’autore gioca molto sottilmente con i codici linguistici del cinema. Il film è di fatto metalinguistico, perché mette in scena gli elementi del dispositivo del cinema, e lo fa con grandissima maestria senza dare l’idea di sovvertire. Mette in scena apparentemente un classico thriller, ma sotto c’è una sottile riflessione sul mondo del cinema: vengono inserite delle metafore della visione. Il primo tema è un crimine che viene compiuto in un condominio, di cui è spettatore il personaggio James Stewart. C’è un crimine, ma il tema sottostante è l’atto del guardare: è il cinema stesso, perché questo personaggio è un fotografo che in quel momento è fermo su una sedia a rotelle, chiuso in casa con la gamba ingessata. Possiede una macchina fotografica e usa l’obiettivo come telescopio. Per effetto dello zoom ottico il personaggio può vedere da lontano. C’è una questione però ancora più sottile, questo personaggio che guarda, e che dal momento che scopre questo omicidio diventa un guardare sempre più accanito, è anche bloccato a sedere esattamente come lo spettatore. Ha un aiutante, la fidanzata, che è interpretata da Grace Kelly, e la manda ad indagare. Il tutto con forti scene di suspense. Il film è disseminato di riflessioni sulla visione filmica e per questo la narrazione classica più la riflessione sullo sguardo che il film innesta fa parlare di metalinguaggio. Ma c’è anche una riflessione del cinema su di sé, quindi una visione metacinematografica.
Per primo Un sogno del ‘58 segna l’apice di questa sperimentazione di Hitchcock inserita però nel cinema classico. Il sogno rimanda alle avanguardie degli anni ’20. È un recupero di quelle visioni “altre”, siamo nelle visioni del surrealismo. Inoltre, c’è un lavoro sulle forme: la forma della spirale la ritroviamo anche nella pettinatura. E la vertigine che ricorre.

Tornando alla Finestra sul cortile, per quel che riguarda le riflessioni sullo sguardo, abbiamo una scena in cui Grace Kelly guarda in macchina. Sappiamo che questa è una violazione delle norme del cinema classico. È una licenza poetica che Hitchcock, regista ormai affermato, può permettersi.

 










Ma ce ne sono tante altre di violazioni, le ritroviamo nel film Psyco, tutte incentrate sul tema del doppio, sulla scissione della personalità. Sono gli elementi della psicoanalisi, che caratterizzavano il cinema espressionista, che imperniano i racconti. Qui, in Psyco, davvero è superato lo schema del cinema classico. Il film Psyco fece veramente paura, mostrava un personaggio schizofrenico con una forte scissione della personalità. Inoltre, il luogo all'inizio sembra un luogo qualunque. Questo film è così conturbante perché mette in mostra momenti di relax come momenti molto minacciosi.

ELEONORA NATALUCCI

domenica 27 maggio 2018

Recensione film "Eraserhead - la mente che cancella"

ERASERHEAD - LA MENTE CHE CANCELLA
di David Lynch



PRODUZIONE: U.S.A. 1977

GENERE: grottesco/horror

CAST: Jack Nance, 
Charlotte Stewart, 
Laurel Near

DURATA:89'

VOTO:9/10











TRAMA
la trama di questa perla del cinema non è affatto facile da cogliere, tanto da dover vedere il film più di una volta per capire almeno la tematica della pellicola, che può differenziare da persona a persona. dunque ve la presento sotto il mio punto di vista. Henry è un giovane che vive in una città oscura e degradata, un giorno la sua ragazza gli comunica di essere incinta, ma il loro bambino ha qualcosa che non va...al posto di un normale neonato, i neo-genitori si ritrovano a carico uno strano feto (forse alieno?), che con il suo pianto distrugge la vita della coppia. Secondo lo stile del regista, il film non si sofferma solamente su questo, ma è un susseguirsi di scene all'apparenza senza senso, ma che nascondono un significato che solo in pochi possono cogliere, come un' uomo che spinge una leva su un pianeta facendo fluttuare il protagonista nello spazio, per poi mostrare un embrione (scena che potrebbe rappresentare il momento del concepimento), oppure una donna che canta una canzone che ripete: in Heaven everything is fine (che può rappresentare la pace e la tranquillità dopo il finale). dunque come già detto prima il film non ha una vera e propria trama, ma solo un seguirsi di scene con un apparente significato a seconda dello spettatore 

REGISTA 
David Lynch inizia la sua carriera nel mondo del cinema, dopo aver girato una manciata di cortometraggi, proprio con questo film, che all'inizio si rivelò un flop, ma che con il passare del tempo e l'aumento di popolarità del regista fu rivalutato diventando un vero e proprio cult, ma già ai tempi questo film diventò un culto per gli appassionati, incluso Stanley Kubrick, che durante la lavorazione di Shining, mostrava la pellicola agli attori per trasmettere angoscia.
dopo la rivalutazione del film, al regista fu data la regia di The Elephant Man, per poi realizzare film con uno stile simile a quello utilizzato per Eraserhead, ovvero un significato diverso a seconda di chi guarda, ma anche realizzando film "normali" come una storia vera o il già citato The Elephant Man

OPINIONE
certamente questo la trama può far storcere il naso a quasi tutti i lettori, ma non bisogna soffermarsi solo su questo, David Lynch riesce a far spaventare senza utilizzare i normali metodi come gli sbudellamenti o  i jumpscare, ma con il solo utilizzo del suono, che riesce ad entrare in testa senza più riuscire a cancellarsi, dunque la mia opinione è del tutto positiva e consiglio vivamente la visione per chi volesse provare questa esperienza.

FRANCESCO CIANCAGLIONI